Organizzazione della mostra di Momò Calascibetta La venere dei guardoni presso il museo Riso di Palermo (21 giugno-17 luglio 2022)
Ad oltre cinquant’anni di distanza dalla Venere degli stracci di Pistoletto, nella Venere dei guardoni di Momò Calascibetta la statua di Thorvaldsen ha voltato le spalle agli stracci, in cui non rovista più come un barbone, e non nasconde le sue grazie, anzi le mette in vetrina: come nella Maja vestida di Goya, gli abiti à la page che la ricoprono sono, più che un freno, un incentivo alla lussuria, al consumo sfrenato.
Del resto la Venere “vestita” non rappresenta mai l’amore sacro, cui ben si addiceva la nudità di Pistoletto, ma il suo doppio profano. Anche i materiali hanno un peso diverso; figlia di un’epoca “leggera”, in cui l’essere è apparire, non importa che il suo corpo sia di cemento, di gesso o di marmo pregiato: una sagoma basta a impersonarla.
Non a caso i veli che la cingono, come certi risicatissimi abiti neopunk, affermano fuori quanto forse dovrebbe restare celato: le ossa di un cadavere, un teschio all’altezza del pube.
Se dunque, riassumendo, Pistoletto si interrogava sul linguaggio dell’arte nell’epoca della sua riproducibilità, il focus di Calascibetta non è tanto sull’espressione artistica, articolata in modi naturali come il cucito o la pittura, quanto sui guardoni: i finali, destinatari o meglio le vittime, di un’arte corrotta dagli abusi del mercato e dalla pubblicità.
Li ritroviamo ora, come nella Venere che esce dal bagno di Giambologna presso la grotta del Buontalenti, raccolti tutti intorno a Venere e vogliosi di guardare.
Essi però, come è sempre più frequentato in tempi di trionfo del virtuale, non sono presenti in forma fisica. I loro volti “viziosi” si riflettono, vengono in Velázquez, o in tanti altri lavori di Pistoletto, su uno specchio collocato alle spalle della sagoma.
Chi, traversando Corso Vittorio, ritrovi per un attimo il suo volto in compagnia dei loro, non si preoccupi troppo. Venere non cambia, è sempre uguale. Il suo unico scopo, come è solito ripetere un amico banditore, è “diffondere amore”.